Rapporto sugli screening in Italia – Aggiornato a Dicembre 2012

Rapporto screening. Chiamati a farli 9,5 milioni di italiani. Ma risponde poco più della metà

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Tuttavia il risultato non è poi così male, sottolineano i ricercatori di Epidemiologia e Prevenzione. Soprattutto in tempo di crisi. Grazie ai 4,3 milioni di screening effettuati sono stati identificati e trattati più di 6 mila cancri alla mammella e altre migliaia di tumori. Il vero problema resta però il divario tra Nord e Sud.

02 GEN – Si chiamava “Lo screening al tempo della crisi”, il convegno nazionale in cui quest’anno sono stati presentati per la prima volta i dati relativi all’accesso agli screening oncologici, pubblicati nell’ultimo numero diEpidemiologia e Prevenzione, rivista specializzata pubblicata col supporto del Ministero della Salute: la consapevolezza del peso della situazione economica, spiegano gli autori nell’introduzione dello studio che analizza in particolare il cancro al colon-retto, quello alla mammella e quello alla cervice uterina, deriva dal fatto che “se la grave crisi che attraversa il nostro Paese ha dei riflessi su tutte le politiche sanitarie pubbliche, ha dunque effetto anche sui programmi di screening”. Ma gli autori precisano: “Considerando questo scenario di fondo, i risultati dell’attività 2010 si possono giudicare positivi, anche se permane il differenziale fra Centro-Nord e Sud”.

Dai dati – relativi all’anno 2010 – emerge infatti che complessivamente in un anno quasi 9,5 milioni di persone sono state invitate a un esame di screening (3.450.000, 2.496,000 e 3.464.000, rispettivamente per lo screening cervicale, mammografico e colorettale). Delle persone invitate, oltre 4.300.000 hanno accettato l’invito (1.375.000, 1.382.000 e 1.582.000 rispettivamente); questa attività ha portato all’identificazione e al trattamento di 6.015 cancri mammari (31% dei tumori della mammella incidenti in Italia fra i 50 e i 69 anni, secondo le più recenti stime), 4.597 lesioni CIN2+, 2.916 cancri colorettali (15% dei cancri colorettali incidenti nella fascia di età 50-69) e 15.049 adenomi avanzati.
Rispetto all’anno precedente è stata registrata una lieve diminuzione per lo screening cervicale e mammografico, mentre si registra un aumento per lo screening colo rettale: una parziale spiegazione per la diminuzione dello screening mammografico deriverebbe dal sovraccarico registratosi in due Regioni (Emilia-Romagna e Piemonte) dovuto all’estensione dell’invito alle donne nella fascia di età fra i 45 e i 49 anni, che ha determinato una parziale diminuzione degli inviti sopra i 50 anni.

Un quadro dunque non del tutto negativo, per quanto riguarda la prevenzione, ma che fa emergere chiara la distribuzione a macchia di leopardo sul territorio nazionale, quando si parla di screening. Ad esempio, se l’estensione nominale dello screening per il cancro cervicale (ovverosia la percentuale di donne in età target residenti in un’area dove un programma di screening è attivo) è leggermente aumentata rispetto al 2009, raggiungendo l’80% della popolazione target con una distribuzione non dissimile sulle macroaree del Paese, è anche vero che due Regioni del Nord Italia (Lombardia e Liguria) hanno deciso di non implementare tale screening su tutto il proprio territorio. Per questo l’estensione reale (la percentuale di donne in età target 25-64 che ricevono regolarmente una lettera di invito) è diminuita raggiungendo nel 2010 il 65% della popolazione target, quando nel 2009 era arrivata al 67%. Tuttavia, è incoraggiante notare come 5-6 anni fa la copertura effettiva fosse intorno al 50% in Italia complessivamente e intorno al 40% nel Sud Italia.

Per quanto riguarda lo screening mammografico: l’estensione nominale è circa il 92%, dato che corrisponde a un’attivazione totale secondo i criteri europei, ma in leggero calo rispetto al 2009, ma le differenze fra le aree geografiche si fanno più evidenti quando si considera l’estensione reale. Anche in questo caso vediamo un lieve calo rispetto al 2009 (69,5%), ma il dato più importante è che la distanza fra il CentroNord e il Sud rimane rilevante: infatti se per il secondo valore si raggiunge il 89% al Nord e il 77% al Centro, la percentuale scende a meno del 38% al Sud.
La leggera diminuzione nel primo valore, invece, deriverebbe secondo gli esperti solo dalla temporanea chiusura di alcuni programmi nel Sud Italia, dato che evidenzia ancora di più la disomogeneità fra le aree del Paese. “Infatti la diffusione nel Centro-Nord è completa, mentre nel Sud e nell’Italia insulare si ferma al 75%”, scrivono gli autori. “È comunque da rimarcare che nel Sud 6 anni fa si raggiungeva solo il 10%”.

Per quanto concerne lo screening colorettale, invece, considerando entrambe le politiche di screening adottate in Italia, nel corso del 2010 l’estensione nominale ha raggiunto il 66% del territorio nazionale, un risultato importante sia nel confronto con le altre esperienze europee che in confronto alla diffusione nei 5 anni precedenti: in Italia la diffusione fino a metà degli anni Duemila erano infatti presenti solo pochi programmi pilota.
Anche in questo caso, le differenze fra il Nord e il Sud del Paese sono piuttosto marcate. L’estensione nominale è vicina al 90% nel Nord, uguale all’80% nel Centro e solo di poco superiore al 30% al Sud, anche se qualcosa si sta muovendo in quell’area. Ma le differenze si acuiscono ancor più quando si considera l’estensione reale: questo parametro infatti risulta pari rispettivamente al 78% al Nord, al 45% al Centro, mentre arriva addirittura solo all’8% al Sud.

Nonostante il quadro poco omogeneo, gli esperti sembrano piuttosto ottimisti, seppure la strada da fare sia ancora tanta. “Questa panoramica sulla diffusione dei programmi di screening in Italia illustra una situazione di lenta espansione che riesce molto parzialmente a superare le distanze esistenti fra CentroNord e Sud”, scrivono gli autori in conclusione allo studio. “La mancata copertura di alcune aree e, in alcuni casi, la bassa partecipazione, non sono l’unico ostacolo che i programmi di screening oncologici si trovano ad affrontare. Esistono anche problemi concernenti la qualità di alcuni programmi, che monitoraggi come questo tentano di mettere in luce: lo scopo della sorveglianza è il miglioramento continuo della qualità; mettendo in evidenza i punti deboli (quando vi sono) dei singoli programmi, offre la possibilità di mettere in campo azioni positive per risolverli”.

Lo screening mammografico

02 GEN – Secondo i dati contenuti nell’ultimo numero di Epidemiologia e Prevenzione, nel 2010 si è registrata per la prima volta una lieve riduzione dell’estensione teorica. Nel 2010 quasi 2.496.000 donne di età 50-69 anni sono infatti state invitate a sottoporsi alla mammografia di screening, e più di 1.382.000 sono state esaminate. L’estensione teorica è risultata pari a 91,7%, mentre quella effettiva è stata del 69,1%. La percentuale di donne esaminate nel 2010 corrisponde al 36,7% della popolazione bersaglio nazionale.

Quando si confrontano le Regioni del Nord e del Centro con quelle del Sud Italia si registra ancora uno squilibrio nell’estensione dello screening: nel Sud il valore registrato è pari al 75%. Il valore medio dell’estensione biennale (69%) relativo al periodo 2009-2010, suggerisce che, a regime, i programmi italiani sono in grado di invitare solo i tre quarti della popolazione bersaglio. Negli ultimi anni i tassi di partecipazione sono rimasti sostanzialmente stabili intorno al 55-57% per l’adesione grezza e al 59-61% per l’adesione aggiustata. Anche per questo parametro si registra un trend decrescente passando dal Nord al Sud della Penisola.
Allo stato attuale tutte le Regioni italiane hanno implementato programmi di screening. Molti programmi lavorano con volumi ridotti di attività – sotto 10.000, o addirittura sotto 5.000 esami per anno – e solo due Regioni (Trentino e Lombardia) hanno superato il livello desiderabile di una media di almeno 20.000 esami per ciascun programma.

Ai primi esami è stato registrato un tasso di richiami dell’8,8%, del 4,6% agli esami successivi. Il tasso di identificazione standardizzato è risultato pari a 6,2×1.000 ai primi esami e 4,3×1.000 agli esami successivi, mentre il rapporto benigni/maligni (B/M) registrato è stato 0,26 e 0,12 rispettivamente per i primi e per gli esami successivi. Il tasso di identificazione dei tumori invasivi ≤10 mm è risultato pari a 1,36×1.000 ai primi esami e 1,49×1.000 ai successivi; la percentuale di carcinomi duttali in situ è stata del 13,9% e 13,4% rispettivamente per i primi esami e per i successivi.

Lo screening cervicale

02 GEN – Nel 2010 l’estensione nominale dei programmi di screening organizzati ha superato l’80%, anche se l’aumento è stato molto ridotto e c’è stata un’ulteriore lieve riduzione al Nord. Mentre l’attivazione sta progressivamente completandosi al Sud e Isole (con l’eccezione della Sicilia, ancora poco sopra il 50%), la quota di popolazione italiana non inclusa in programmi organizzati è soprattutto il risultato di un’attivazione molto ridotta o assente in alcune Regioni del Nord (Lombardia, Liguria, Bolzano).

Nel 2010 i programmi attivi in Italia avevano una popolazione obiettivo di 13.538.080 donne, corrispondenti all’80,1% della popolazione femminile italiana di 25-64 anni vs. 78,1% nel 2009. L’estensione è rimasta stabile al Nord, mentre c’è stato un lieve aumento al Centro e al Sud. Quest’ultimo è in particolare dovuto all’attivazione di nuovi programmi in Sardegna.  L’estensione effettiva, invece, è stata il 60,7% a livello nazionale, inferiore al valore 2009.
Secondo i dati, è stato sottoposto a screening il 39,8% delle donne invitate (39,3% l’anno precedente). Era presente un chiaro trend in diminuzione nella compliance all’invito dal Nord (49,4%) al Centro (38%) al Sud (28,1%), come osservato negli anni precedenti.
La compliance era superiore al 30% in 12 Regioni e sopra il 50% in Umbria, Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Trentino (figura 2, pag. 45). Rilevante è chiaramente l’aumento della compliance al Sud, in controtendenza rispetto agli anni precedenti.

Nel 2010 la ripetizione della citologia è stata raccomandata al 4,7% delle donne già sottoposte a screening, come nel 2009, vs. 5,2% nel 2008, 5% nel 2007 e valori intorno al 6-7% nei tre anni precedenti. Il 62% delle donne che hanno ricevuto questa raccomandazione ha effettivamente fatto un nuovo prelievo (61% nel 2009, 63% nel 2008).
Una proporzione non molto alta, ma che mostra una certa variabilità: in due Regioni (Sardegna e Molise) la ripetizione della citologia è stata raccomandata a più del 13% delle donne già sottoposte a screening e in altre 3 a più del 6% (Trentino, Piemonte e Basilicata).

Lo screening colorettale

02 GEN – Secondo i dati pubblicati su Epidemiologia e Prevenzione, a fine 2010 erano presenti 105 programmi di screening colorettale, di cui 9 attivati proprio nel corso dell’anno, per un’estensione su scala nazionale dello screening pari al 65% della popolazione eleggibile di età compresa tra i 50 e i 69 anni. In dodici Regioni e nella Provincia autonoma di Trento gli screening sono estesi a tutta la popolazione bersaglio, mentre nell’Italia del Sud e Isole sono stati attivati cinque nuovi programmi, con un’estensione del 29%.

Complessivamente sono state invitate allo screening con la ricerca del sangue occulto fecale immunochimico (SOF) circa 3.404.000 persone, pari al 47,2% della popolazione target da invitare nell’anno. I soggetti che nel 2010 hanno eseguito il SOF sono stati 1.568.796, con un’adesione aggiustata all’invito del 48%. Sono state registrate notevoli differenze di adesione tra Regioni. Il 10% dei programmi ha valori inferiori al 24%. La proporzione di positivi è stata del 5,5% nei soggetti al primo esame di screening e del 4,3% agli esami successivi. L’adesione alla colonscopia delle persone con SOF+ è stata dell’81,4%, con valori inferiori al 70% in una sola Regione. Complessivamente è stato classificato come completo l’88,7% delle colonscopie eseguite nel 2010.
Tra i 740.281 soggetti al primo esame di screening il tasso di identificazione dei carcinomi è stato del 2,4 ogni 1.000 screenati e quello degli adenomi avanzati dell’10,3‰. I tassi di identificazione sono maggiori nei maschi rispetto alle femmine e aumentano progressivamente con l’età in entrambi i sessi. Come atteso, tassi di identificazione più bassi (1,2‰ e 7,6‰ per carcinomi e adenomi avanzati, rispettivamente) sono stati registrati negli 843.204 soggetti presentatisi a episodi di screening successivi al primo.

Molti programmi hanno riportato serie difficoltà a garantire in tempi brevi la colonscopia in caso di positività al SOF: circa un sesto delle persone ha dovuto attendere più di due mesi (16%).
Nove programmi hanno proposto come test di primo livello la rettosigmoidoscopia (RS) a singole coorti di età (58/60enni). Nel 2010 hanno esaminato 13.629 persone, con un’adesione aggiustata all’invito del 24%. E’ stato classificato come completo l’87% delle RS. Sono stati inviati ad approfondimento colonscopico il 9,5% degli screenati e sono stati diagnosticati 2,8 carcinomi e 40,6 adenomi avanzati ogni 1.000 screenati.

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Fonte: http://www.quotidianosanita.it

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