Oggi contempliamo il mistero della sofferenza di Cristo, che viene tradito, umiliato e martirizzato pur nella sua innocenza: quanti esempi anche in questo per tutti noi, spesso chiamati a soffrire ed a portare croci pesantissime. Gesù è il nostro modello anche il Venerdì Santo, che è passaggio obbligatorio per tutti, prima di giungere alla gloria. Sabato attenderemo la sua resurrezione e domenica lo celebreremo vivo in mezzo a noi, come nostro fratello, amico e guida sicura.

Ci avviciniamo allora alla Santa Pasqua in un periodo che per diversi motivi non si può definire felice. Un periodo in cui ci siamo trovati improvvisamente costretti a svolgere le nostre attività abitudinali, con modalità inconsuete e che ci costringerà a trascorre i giorni di festa nelle nostre case, stretti nei nostri affetti domestici ma senza poterci scambiare auguri ed abbracci con familiari ed amici. Uno dei periodi più duri dal secondo dopoguerra ad oggi, ma dal quale usciremo e ci auguriamo senza dover aspettare troppo.

Il senso della Pasqua è la rinascita. La rivincita della vita sulla morte, della luce sulle tenebre. Rifiorisce la natura in tutto il suo splendore dopo il lungo inverno. Il corpo di Cristo trucidato dal male rimase in attesa, latente dentro una grotta avvolto in un lenzuolo di lino, della mano del Padre. Anche noi, afflitti da questo male invisibile ma che riesce lo stesso a mostrarsi agli occhi, dobbiamo attendere con fede la stessa Mano che ci tirerà fuori e come semi avvolti dal calore della terra, noi, avvolti dal calore delle nostre abitazioni, germoglieremo nuovamente verso una nuova vita!

Quando usciremo saremo chiamati a partecipare al rilancio del Paese. Dovremo farci trovare pronti a questo appuntamento, ripartendo dall’esame dei nostri punti di debolezza e puntando con orgoglio a fare di meglio.

“Domandiamo a Gesù risorto, che trasforma la morte in vita, di mutare l’odio in amore, la vendetta in perdono, la guerra in pace. Sì, Cristo è la nostra pace e attraverso di Lui imploriamo pace per il mondo intero.”

E’ con le parole di Papa Francesco che vogliamo formulare, quindi, a voi e alle vostre famiglie, gli auguri più affettuosi per l’imminente Festa della Resurrezione e per un deciso avvio verso la fine del periodo emergenziale, vi ringraziamo per aver speso un po’ del vostro tempo con noi e hai nostri soci per l’impegno, la dedizione, lo spirito di sacrificio con cui state continuando a lavorare.

A nome di tutto il Consiglio Direttivo e di tutti i soci dell’Associazione Vita Onlus

Cosa (e come) potrebbe e dovrebbe diventare l’Italia e/o il mondo non appena avremo messo il punto a questa terribile pandemia?

Vogliamo condividere con voi di seguito cosa ne pensa il nostro Vice Presidente a questa domanda.

Per capire dove andremo dobbiamo vedere da dove veniamo e che strada stiamo percorrendo. Veniamo da un mondo ormai iperconnesso. Si dice che siamo sempre più soli davanti a uno schermo, ma quello schermo cos’è se non una finestra aperta sul mondo? Il mondo del lavoro, del vivere quotidiano e di svago come il turismo. Questi sono ambiti che cambieranno radicalmente.

Dott. Giuseppe Sola
Vice Presidente – Associazione Vita ONLUS

“Fortunatamente” stiamo vivendo la quarantena in un momento storico in cui ci si può vedere anche senza uscire da casa.

Questo isolamento ci sta portando a una voglia di stare insieme che avevamo dimenticato, una convivenza diversa, non fatta da stress e frenesie di lavoro e vita quotidiana.

Finita la pandemia ci saremo accorti che avremo bisogno di aggregazione non di assembramenti, ma allo stesso tempo, paradossalmente, dei nostri spazi. Non finirà da un giorno all’altro, si tornerà solo piano piano alla routine, probabilmente ci adatteremo a una nuova normalità.

Negli ultimi decenni c’è stata una rivoluzione culturale e tecnologica senza precedenti, le scoperte scientifiche sono aumentate esponenzialmente di anno in anno.

Verosimilmente ci sarà un decentramento.

La tecnologia è andata di pari passo con un accentramento verso le città, i paesi si sono sempre più svuotati e delle campagne non ne parliamo, non ci abita più nessuno se non pochi nostalgici o pochi “eletti” per necessità.

E a pensarci è strano, perché in effetti prima lo era una necessità, si lavorava e si viveva con la campagna, non c’erano i mezzi per raggiungere il centro abitato in modo rapido, ci si poteva impiegare un’ora o più, un vero e proprio viaggio.

Da quando tutti si son potuti permettere un’auto, quel viaggio è diventato passeggiata e non c’è stata più l’esigenza di stare lontani dal centro abitato. Del resto, l’uomo è un animale sociale e per natura è alla costante ricerca di comfort e stili di vita, che solo l’aggregazione gli può dare.

Pian piano siamo diventati bravi in qualcosa, iperspecialisti nel nostro lavoro, perdendo di vista l’importanza di altri saper fare che nei curricola, oggi, vengono richiesti con il termine di “skills”; capacità che prima stavano sotto la filosofia del “impara l’arte e mettila da parte”.

Dunque, dalle campagne dove “casa quantu vasta, tirrenu quantu vidi” (proverbio siciliano che suggeriva di avere una casa della misura necessaria e possedimenti tutti quelli si riuscivano ad ottenere) e il nostro spazio vitale era infinito, ci siamo trasferiti nei paesi, con spazi intermedi e facile possibilità di fughe all’aria aperta; e successivamente nelle città, sempre più grandi, sempre più connesse ma con spazio vitale sempre più ridotto. E ce ne stiamo accorgendo solo adesso tra 4 mura domestiche, come agli arresti domiciliari.

Quanto stiamo sognando di vivere in un luogo come una casa in campagna? Succederà? Forse in un certo senso, ma non proprio. Immagino un futuro in cui la gente vive in “centri periferici” luoghi in cui ci si deve riappropriare dei propri spazi e del proprio tempo, dove ci si riesce a muovere meglio e lavorare a distanza.

Il lavoro.

Ormai è sotto gli occhi di tutti che il cosiddetto “smart working” (concetto che racchiude il lavoro a distanza, flessibilità degli orari e dei metodi) è fattibile, è una realtà, sta prendendo sempre più piede, sarà la routine.

Certo non si può applicare a tutti i lavori. Ma qual è il senso di uscire da casa per andarsi a chiudere in un ufficio davanti un pc? O quantomeno, qual è il senso di farsi tanti km, molto spesso nel traffico, molto spesso essendo la causa stessa del traffico, con aumento dei livelli di inquinamento e stress mentale, quando lo stesso lavoro puoi farlo da casa o comunque “a km 0”?

Io credo che una postazione lavorativa sia comunque necessaria, bisogna separare vita e affetti dal lavoro, che sia un ufficio creato da una dépendance o un luogo qualsiasi a pochi passi da casa; magari a qualcuno verrà in mente di creare delle “location job”, postazioni in cui lavoratori diversi si trovano a condividere gli stessi spazi e scambiare chiacchiere diverse con altre figure professionali durante la pausa caffè; l’ingegnere si troverà a spiegare il suo progetto al giornalista che scrive il suo articolo, il responsabile delle risorse umane racconterà di come esamina i curricola all’impiegato marketing che potrà suggerigli una strategia migliore di ricerca. La diversità che diventa crescita.

Lavorare dove, come e quando vuoi! L’importante è raggiungere gli obiettivi!

Una cosa che mi ha colpito di questo periodo è di non riuscire facilmente a trovare una cosa al supermercato: la farina!

E’, praticamente, la base della nostra alimentazione! Ci puoi fare gran parte del cibo che quotidianamente metti a tavola. Ogni tanto mi sono chiesto: “come siamo riusciti a perdere l’abitudine di farci la pasta in casa?” In Italia, aggiungerei, dove la pasta è quasi la nostra carta di identità. Noto quasi una riscoperta nel farci le cose da soli, il fatto di prepararci il dolce, il pane, la pizza a casa potrebbe riportarci a quelle condizioni in cui si faceva per necessità e da cui sono nate le migliori tradizioni culinarie, che stavamo rischiando seriamente di perdere.

Ricordando che il comparto enogastronomico è, anche, uno dei fondamenti del turismo, anche questo cambierà.
Non si va più vedere solo i monumenti, la voglia è di immergersi in un’altra cultura, come si vive in quel territorio, come ci si svaga, come si mangia e come si cucina quel pasto.

Già da un po’ si è imboccata la strada del “turismo ospitativo”, ad esempio quei percorsi nati sulla scia del cammino di Santiago, che danno la possibilità di esplorare e riscoprire luoghi sperduti e permettendo non a dei turisti ma a degli ospiti l’immersione in quella vita diversa.

E se è vero che un viaggio cambia, questi scambi culturali permettono di portare a casa quelle “skills” che mancano nel curriculum.

Dott. Giuseppe Sola, medico siciliano specializzando in anestesia e rianimazione – Novara

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